BIG EYES
IN BREVE – Qualità: ★★(★) – Ritmo: OOO – Pubblico: cineamatori*, cinecuriosi*, cinepopcorn*
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Tim Burton gioca a fare Walt Disney e l’incredibile storia di Margareth Keane diventa una commediola rassicurante.
LA TRAMA
Quando carica la figlioletta sull’automobile e lascia il primo marito, Margaret Ulbrich è una giovane donna senza soldi, che dipinge per passione e per necessità quadretti semicaricaturali di bambini dagli occhi smodatamente grandi. Opere intrise di sentimentalismo e di un gusto kitsch, che raggiungeranno però un enorme e inaspettato successo quando a commercializzarle sarà Water Keane, secondo marito di Margaret e “wannabe artist” a tutti i costi. Spacciando i quadri della moglie per propri, per quasi un decennio, Walter costruisce un impero su un’enorme bugia, riuscendo ad abbindolare l’America intera. Finché Margaret non si ribella. Gli occhi sono lo specchio dell’anima, dicono. Eppure sotto gli occhioni dei milioni di “figli” dei Keane, si cela una delle più grandi frodi dell’arte contemporanea (MyMovies).
IL COMMENTO
Collezionista dei quadri di Margaret Keane, Tim Burton firma la regia di questo film biografico, affidato originariamente ai due sceneggiatori Alexander e Karaszewski. Nelle sue mani, Big Eyes prova ad assorbire i tratti del regista ma il risultato non è quello atteso. Dietro ai meravigliosi e coloratissimi anni ’50, che trasformerebbero qualunque film in una immensa “fabbrica di cioccolato”, c’è la storia appassionante di una donna americana, che da un lato dimostra il coraggio e la follia di voler cambiare, animata da un forte desiderio di riscatto, e dall’altro la fragilità e l’insicurezza di una madre, che la costringono in una gabbia, disposta a sopportare il male minore. Erano anni difficili per le donne, anche in quel paese che in meno di vent’anni avrebbe dato fiato ai movimenti femministi che avrebbero poi trasformato il mondo. Ma a quel tempo i tempi non erano maturi. L’afflato della ribellione, dell’emancipazione, della ricerca della libertà venne soffocato dal bisogno di stabilità che diede forma ad un nuovo presente, stabilendo un ordine pubblico più accettabile, con la donna, regina del focolare, a distribuire flute alle inaugurazioni, e l’uomo, artista geniale e incontenibile, a impartire lezioni di ispirazione e umanità al pubblico in visibilio. I tempi cambiano. E, in parte, lo vediamo già in questo film, nel quale seguiamo la parabola del finto artista e l’affermazione dell’artista vera, consacrata pubblicamente nel 1970. Sorvolando distrattamente sui temi dell’arte e del mercato, della creazione e della vendita, dell’unicità e della serialità, con le prime immagini di Warhol dipinto come un principiante del merchandising in confronto al buon Keane, il film trova il suo limite maggiore nel tono con cui si narra la storia. Senza l’ispirata creatività di Burton, prevale la sensazione di vivere in un film della Disney, nel quale il dolore è pigramente accennato e il maligno assume le sembianze di un gigione dalla mascella gigante, che propone la caricatura di se stesso e delle sue straordinarie interpretazioni precedenti. Big Eyes vira nella commedia rassicurante e umoristica, che non fa male a nessuno, e ci manda a casa con il sorriso intorpidito, senza graffi sulla pelle.
SCHEDA ESSENZIALE
Titolo originale: Big Eyes – Genere: biografico – Durata: 1h46 – Regia: Tim Burton (Edward mani di forbice, The Nightmare before Christmas, Mars Attacks!, Frankeenweenie) – Cast: Amy Adams, Christoph Waltz (Bastardi senza gloria, Carnage, Django), Danny Huston, Krysten Ritter, Jason Schwartzman – Produzione: Usa – Uscita: 1 gennaio 2015