MAGIC IN THE MOONLIGHT
IN BREVE – Qualità: ★★ – Ritmo: OOO – Pubblico: cineamatori*, cinecuriosi*
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Semplicistico, banale, leggero e senza graffio. Un Allen ripetitivo e incolore, che sovrappone al suo tradizionale cinismo, un fastidioso romanticismo che sembra spingersi fino all’happy end.
LA TRAMA
Berlino, 1928. Wei Ling Soo è un celebre prestigiatore cinese in grado di fare sparire un elefante o di teletrasportarsi sotto gli occhi meravigliati di un pubblico acclamante. Ma dietro la maschera e dentro il suo camerino, Wei Ling Soo rivela Stanley Crawford, un gentiluomo inglese sentenzioso e insopportabile che accetta la proposta di un vecchio amico: smascherare una presunta medium, impegnata a circuire una ricchissima famiglia americana in vacanza sulla riviera francese. Ospite dei Catledge sulla Costa azzurra e sotto falsa identità, si fa passare per un uomo d’affari; Stanley incontra la giovane Sophie Baker ed è subito amore. Ma per un uomo cinico e sprezzante come lui è difficile leggere dietro alle vibrazioni di Sophie un sentimento sincero. Un temporale e il ricovero della zia adorata, faranno crollare il razionalismo e le resistenze di Stanley: il soprannaturale esiste eccome e si chiama amore (MyMovies).
IL COMMENTO
Parlare di un nuovo film di Woody Allen riflette sempre più i limiti del suo cinema recente, costringendo a tornare sugli stessi temi. Cambia la copertina, ma il contenuto rimane lo stesso. E non sarebbe grave, se formalmente ci fosse qualche novità, qualche inattesa impennata. L’Allen regista, però, sembra rifiutare i trucchi più evidenti dell’illusionista giocando a carte (quasi) scoperte; mostrandosi, di nuovo, abile mestierante, un po’ a corto di idee. Ci induce a vedere i suoi film come a un esame oculistico: un occhio aperto su quest’opera, e l’altro sul resto della sua carriera, sui suoi bisogni di fare film per sopravvivere, di sviluppare idee e appunti rimasti nei cassetti, per farci unire puntini immaginari dei temi nella sua galassia. Se “Blue Jasmine” aveva mostrato una prospettiva un po’ diversa, un ritratto femminile ai tempi della crisi, “Magic in the Moonlight” sa di naftalina. Di nuovo la fine degli anni venti, un’epoca ideale e idealizzata da Allen in più di un film, per tutto quello che avviene nell’arte, nella cultura, nella musica, nella scienza. Una storia d’amore nel sud della Francia, anche questa idealizzata e vista attraverso colori per lo più crepuscolari, a tinte calde. Sullo sfondo, la magia e la chiaroveggenza, la necessità di credere nell’illusione di un’arte, anche se ingannatrice – come il cinema, per sopravvivere, per sopportare le miserie della vita. Trovano spazio Nietzsche e Hobbes, la musica jazz (ovviamente), in particolare l’amato Cole Porter, e la psicanalisi. Accettare quindi che la vita sia una meccanica concatenazione di eventi sterili, oppure abbracciare l’illusione di un qualcosa di mistico, religioso, e vivere nella felice falsità del sogno. Problema ricorrente per tanti personaggi della filmografia di Allen (Ondacinema.it). Un film sufficiente, se pensiamo in astratto. Un film insufficiente, se pensiamo ad Allen.
SCHEDA ESSENZIALE
Titolo originale: Magic in the Moonlight – Genere: commedia – Durata: 1h38 – Regia: Woody Allen – Cast: Eileen Atkins, Colin Firth, Marcia Gay HArden, Hamish Linklater, Simon McBurney – Produzione: USA – Uscita: 4 dicembre 2014