POSH
IN BREVE – Qualità: ★★ – Ritmo: OOO – Pubblico: cineamatori*, cinecuriosi*, cinepopcorn*
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Thriller finto contemporaneo, condito con dialoghi innaturali, interpreti da copertina e forzato retroterra politico classista. Molta superficialità per un film poco riuscito, che aspira ad Arancia Meccanica ma si ferma molto prima, nel territorio dei College movie.
LA TRAMA
Un gruppo di studenti viene ammesso all’università di Oxford, dove fra i tanti club accademici il più esclusivo è il Riot, che accoglie solo dieci membri destinati a “diventare delle fottute leggende”. I nuovi ammessi sono Miles e Alistair, entrambi di ottima famiglia e allevati nel privilegio, ma molto diversi fra loro: Miles è tollerante, di mentalità (relativamente) aperta e disposto a fidanzarsi con Lauren, una studentessa che non ha il suo pedigree aristocratico. Alistair vive nell’ombra del fratello maggiore Sebastian, mitico ex presidente del Riot Club, e si abbandona a lunghe tirate contro quella borghesia che “ci odia, ma vorrebbe essere come noi”.
IL COMMENTO
“Posh” nasce come opera teatrale. Il fulcro della storia ben si adatta ai perimetri di un palcoscenico, forse, se anche il film si fosse concertato su un’unica scena girata in un interno avrebbe avuto un qualche spessore come prova di recitazione o avrebbe incuriosito lo spettatore lasciando spazio all’immaginazione sui trascorsi dei protagonisti… ma scrittrice e regista hanno riadattato la sceneggiatura per “caratterizzare” i personaggi. Li mostrano a bordo delle loro costosissime auto dove tra una curva e un’altra urlano “siamo i padroni del mondo” e sorseggiano whisky come consumate rock star (salvo poi vomitarne il contenuto un attimo dopo), o mentre si fanno strada tra le guide turistiche nelle sfarzose sale dei palazzi di famiglia. Ma cosa aggiunge questo background? Nulla o quasi. Che erano ricchi e viziati lo si poteva capire benissimo da poche battute iniziali. La scena dove si snoda la vicenda arriva in ritardo, fino ad allora “Posh” non annoia, ma non emoziona. La regista è la pluripremiata danese Lone Scherfig, oltre al trascurabile “One Day”, alle spalle ha un’opera come “An Education”, ma qui non emerge quel sostrato che porterebbe a interrogarsi sul perché questi ragazzi serbano un rancore incontrollabile verso “la gente povera” (citando il film) o almeno sulla sua provenienza. Semplicemente hanno tanto o forse troppo, si riempiono la bocca di parole di cui non conoscono il significato, non sono né dannati, né maledetti, tantomeno poeti. Banalità dei dialoghi e scarsa evoluzione dei personaggi, intrappolati in sterili stereotipi, sacrificano la prova attoriale. C’è un crescendo di tensione valorizzato da fotografia e colonna sonora, tuttavia manca la suspense del thriller e il finale è un cliché annunciato (Cinema4stelle).
SCHEDA ESSENZIALE
Titolo originale: The Riot Club – Genere: drammatico – Durata: 1h46 – Regia: Lone Scherfig (An education) – Cast: Max Irons, Sam Claflin, Douglas Booth, Holliday Grainger, Freddie Fox – Produzione: Gran Bretagna – Uscita: 25 settembre 2014