ALABAMA MONROE
IN BREVE – Qualità: ★★★★ – Ritmo: OOO – Pubblico: cinefili*, cineamatori*, cinecuriosi*
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Melodramma di grande intensità, sconfitto (ingiustamente?) da La Grande Bellezza alla corsa degli Oscar.
LA TRAMA
Elise è una tatuatrice che ha inciso sul corpo la propria storia, cancellando via via i nomi degli uomini che ha amato per coprirli con nuovi tatuaggi. Didier è un cantante di musica bluegrass che suona il banjo in un gruppetto belga innamorato del mito dell’America rurale. Quando si incontrano, è amore a prima vista e il riconoscersi reciproco di due outsider nel Belgio conformista e ordinato. Ad unirli indissolubilmente, oltre all’attrazione profonda, è l’amore per la musica. E per la prima volta nella loro vita Elise e Didier, che si credevano destinati alla precarietà dei sentimenti, decidono di impegnarsi fino in fondo, mettendo al mondo la figlia Maybelle. Ma anche il più eterno dei vincoli può essere reversibile, e i due innamorati lo scopriranno a proprie spese (MyMovies).
IL COMMENTO
And the Oscar goes to…The Great Beauty. L’ultima cerimonia degli Oscar ha premiato l’Italia cafona rispetto a questo bel film belga, il principale concorrente dell’opera nostrana. Oscar meritato? Mentre la Grande Bellezza offre alcune scene cult all’interno di un’opera a volte ridondante e imperfetta, Alabama Monroe risulta un film intenso, drammatico, virtuoso, dall’inizio alla fine. Difficile non rimanere colpiti dalla storia lacerante che i protagonisti vivono, al cospetto della propria figlia, malata oncologica dal futuro incerto. Felix Van Groeningen racconta l’evoluzione drammatica della malattia della bambina e la struggente attenzione dei suoi genitori, ma sceglie di concentrare la sua attenzione sulla relazione amorosa tra Didier ed Elise, attori perfetti, straordinariamente comunicativi e credibili. Insieme a loro viviamo il primo incontro, il corteggiamento, la passione, l’amore folle, la musica, l’amicizia ma anche la crisi, la debolezza, il dolore, il vuoto. L’intensità delle emozioni è reso sostenibile dal ritmo della narrazione, che alterna il dramma alla serenità, con disordine temporale, portandoci prima nelle sfumature infinitamente appaganti dell’amore del focolare domestico, poi negli oscuri meandri della più vuota disperazione, incomprensibile, incontenibile e assurda. Come se alla gioia infinita, per una sorta di legge di compensazione universale, dovesse corrispondere un dolore infinito. La morte distrugge chi muore ma distrugge allo stesso tempo chi sopravvive e chi questa morte non può accettarla, se a morire è carne della propria carne. Dietro alla sofferenza dei visi, raccontati con grande naturalezza e sensibilità da Van Groeningen, trovano spazio anche alcune grandi domande esistenziali, con la forza di una provocazione che stimola anche il più fedele dei fedeli. Quando un padre si trova a dover spiegare alla propria figlia malata la morte di un uccellino, senza la favola del paradiso (“Papà dove va? Nella spazzatura”). O quando la disperazione incontrollata sfida la responsabilità colpevole di una Chiesa che combatte la ricerca sulle staminali (“La tecnologia per ammazzare non si ferma mai, quella per guarire sì”). O quando, nonostante gli inni spirituali della musica country, la vita ti fa assaggiare la gioia, per poi prenderti in giro, aprendo la strada alla morte. Un gran bel film, per soffrire ancor più del dovuto.
SCHEDA ESSENZIALE
Titolo originale: The Broken Circle Breakdown – Genere: drammatico – Durata: 1h40 – Regia: Felix Van Groeningen – Cast: Veerle Baetens, Johan Heldenbergh, Nell Cattrysse – Produzione: Belgio – Uscita: 8 maggio 2014