RISE AND FALL OF APARTHEID
IN BREVE – Pac, Milano – fino al 15 settembre 2013
Voto: ★★★
Pubblico: appassionati di fotografia, di storia politica e sociale, di diritti umani
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Ricca ma male allestita. Non basta appendere foto per costruire una mostra.
LA MOSTRA
I comunicati stampa e la presentazione della Mostra sui siti ufficiali parlano con enfasi di una mostra evento sull’Apartheid. “Pietra miliare nel suo genere e frutto di oltre sei anni di ricerche, il progetto raccoglie il lavoro di quasi 70 fotografi, artisti e registi, dimostrando il potere dell’immagine – dal saggio fotografico al reportage, dall’analisi sociale al fotogiornalismo e all’arte – di registrare e analizzare l’eredità dell’apartheid e i suoi effetti sulla vita quotidiana in Sud Africa”. La mostra c’è. Così come la grande quantità di materiale appeso alle ampie pareti del Pac. Si apprezza soprattutto lo sforzo documentaristico del curatore, che ha cercato di ricostruire un periodo doloroso della storia del Sudafrica. Uno sfregio per l’umanità che, in tempi tutto sommato recenti (l’apartheid è terminata formalmente nel 1990), ha permesso una forma di discriminazione così cruda e drammatica, sulla base del colore della pelle. Ancora oggi, nel Paese, nonostante la democrazia, i neri e i coloured sono discriminati, se non dalla legge, dalla maggior parte degli Afrikaners. L’ampia raccolta fotografica parte dalla conquista del potere da parte di Daniel Francois Malan, leader del Partito Nazionale. Le immagini e i video lo ritraggono felice, contornato da folle di attivisti e sostenitori, che lo seguiranno, fino al suo assassinio, nella spirale di interventi legislativi volti ufficialmente a creare dei rapporti di “buon vicinato”, ma destinati inevitabilmente a creare divisione, violenza e discriminazione. Divieto di matrimoni misti, divieto di rapporti sessuali tra bianchi e neri, divisione territoriale, sfratti e deportazioni, servizi pubblici separati e istruzione palesemente discriminatoria sono solo i primi provvedimenti a sostegno della costruzione di un potere criminale, fondato sul razzismo. Nel 1958, il nuovo Primo Ministro Verwoerd rivela al Paese, in un discorso pubblico, che avrebbe preferito arrivare alla “soluzione finale” piuttosto che dover crescere i propri figli nella paura e nell’incertezza, quasi a dimostrare che la politica discriminatoria fosse l’inevitabile risposta nei confronti di un popolo naturalmente pericoloso. Verwoerd verrà assassinato, mentre nel Paese (ci mostrano decine e decine di foto), accanto al regime prende forma una determinata e organizzata reazione da parte di neri e coloured, che riconquisteranno la libertà, passo dopo passo, solamente dopo 30 anni di tenace ribellione. Il racconto di questa lunga parentesi nera del Sudafrica non può che provocare sdegno e forti emozioni nel visitatore. Le immagini mostrano soprattutto il punto di vista nero, tra grida, violenza e speranze che non vogliono morire. La mostra però, nonostante il grande valore storico, presenta diverse mancanze: dalle didascalie solo in inglese, all’assenza di un chiaro percorso espositivo, dall’assenza di un’attenzione estetica alla disposizione delle immagini, alla presenza di molto materiale non fruibile (film di 90 minuti su video di piccole dimensioni e e audio inascoltabile, copertine al contrario poste in tavoli adiacenti alle pareti). Il viaggio è comunque intenso. E lo è ancora di più oggi, con Mandela a rischio vita e il mondo tuttora in rivolta per la libertà.