TOM ODELL
IL CONCERTO
Spinto da Sony, con una recente apparizione a XFactor, fenomeno europeo con il suo primo album, arriva in Italia Tom Odell, giovane artista britannico dal biondo caschetto adolescenziale, che chiama i suoi simili presenti in grande quantità al factory Club di Milano. Il pubblico lo tratta come fosse Michael Jackson o, forse pare più azzeccato, Justin Bieber: canta Osanna, si spella le mani, sa tutto a memoria e urla nelle orecchie.
In realtà nessuno dei due paragoni appare calzante. Troppo giovane e acerbo per poter scommettere ad occhi chiusi sul suo futuro (e successo discografico) ma dotato certamente di talento e di uno stile interessante, sia musicalmente che dal punto di vista dei contenuti, necessariamente legati al vissuto di un ventenne.
Tom si arma e si protegge con il pianoforte, con cui duetta violentemente durante tutto il concerto. Pianoforte (non a coda) al centro del minuscolo palco. Ai suoi lati il chitarrista, che sembra sostenerlo e incoraggiarlo, annuendo brano dopo brano, e il bassista/contrabbasso, defilato e un po’ oscurato alla mia vista laterale. Dietro a tutti il veemente batterista capellone all’apparenza più agée
Ai cori tutta la band che cerca di “esistere” sotto alla voce urlante di Tom. E infine, sempre sul palco, trova spazio il tecnico del suono al mixer, quasi fosse un ospite di famiglia, tanto è vicino e in intimità col gruppo.
Spulciando tra la musica, i video e le immagini di Tom Odell sul web ti aspetti un ragazzo romantico, elegante, quasi timido. Bastano cinque minuti per lasciarsi alle spalle l’immagine patinata dell’artista online, per fare spazio a quella dell’adolescente ribelle, innamorato del suo piano, del suo sogno, della sua musica. Un artista che invade il pubblico con una grande presenza scenica, con la grinta di un consumato animale da palco, quasi un cow boy nei suoi movimenti a cavallo del suo sgabello da pianoforte.
La sua musica live parte sempre con pochi accordi, quasi “camerali”, per esplodere in breve tempo in un suono pieno, ricco e paurosamente crescente. Mentre si alza il volume della musica, cresce anche la voce, noncurante di imperfezioni e sguaiati ululati, testimonianza audiometrica della felicità di esserci.
Pochi i brani a sua disposizione, dal suo primo e unico album, più qualche cover tra cui un brano dei Beatles, ben personalizzato.
Tom alterna la fusione con il suo pianoforte, che percuote con mani agili, a quella con il suo pubblico, che guarda spesso e a cui risponde divertito, ascoltando le frasi gridate a pochi metri da lui. Un pubblico che recita i versi delle canzoni quasi fossero quelle di poesie diligentemente imparate a scuola.
Quando pronuncia in italiano “Buongiorno” e “Grazie, grazie” alla maggior parte sembra di ascoltare uno sforzo sovrumano per entrare in comunione.
Ma è la sua acerba grinta che fa la differenza, oltre le aspettative, e che appassiona la sala gremita.
Verso la fine non sembra riuscire a star seduto e, liberandosi con un calcio dello sgabello, termina in piedi pestando i tasti e grondando sudore sulla camicia aperta e fradicia. Con “Cruel” saluta il pubblico e, dopo poche riverenze, scappa a lato palco, dall’uscita di emergenza.
Bravo Tom. La voglia c’è tutta. La musica è bella. Aspettiamo fiduciosi di sapere dove ti porteranno i tuoi pensieri.
LA SCALETTA
Grow Old With Me, Can’t Pretend, Sirens, Sense, I Know, Oh! Darling
(The Beatles cover), Till I Lost, Supposed to Be, Another Love, Long Way Down (Short), Hold Me, Gone at last, See If I Care, I Just Want to Make Love to You
(Etta James cover), Cruel